domenica 4 maggio 2008

SIOS AVAPA (di Massimo Maggioni)

LA CRIPTA DEL CROCEFISSO AD UGENTO
Uscendo dall’abitato di Ugento e percorrendo la via che conduce a Casarano proprio all’altezza dello svincolo per Melissano troveremo una chiesetta rupestre recentemente riaperta al pubblico,dopo un lungo lavoro di restauro.
La chiesa con sottostante cripta chiamata Del Crocefisso ( i Crucifissi ) è una delle molteplici chiese rupestri del territorio salentino.
I monaci basiliani,di rito greco,giunsero nel salento a partire dal 726 d.c. anno in cui l’imperatore Leone III Isaurico promulgò l’editto contro il culto delle immagini sacre ( iconoclastia ) nell’Impero Romano d’Oriente;
Le chiese rupestri sorgevano perlopiù o lungo le antiche vie di comunicazione ( ad esempio la via sallentina traiana ) o presso antichi insediamenti rurali di epoca tardo romana scampati alle devastazioni delle guerre gotico bizantine.
I monaci eremiti si stabilirono in antichi ipogei e grotte celebrando i riti greci che nel nostro territorio perdurarono,con alterne vicende, fino al XV-XVI secolo .
Durante il monachesimoi italo greco si diffuse,in special modo nell’XI-XII secolo,l’uso di affrescare le pareti delle grotte trasformate in luoghi di culto,con immagini sacre di Santi con fattezze ed iscrizioni greco bizantine.
La cripta del Crocefisso si trova quindi in prossimità di un antico insediamento abitativo rurale tardo romano, in un territorio come quello d’Ugento che fonda le sue origini fin dall’epoca arcaica dei Messapi.
Vediamo ora un po’ più da vicino cosa ci offre d’interessante la cripta:
diciamo innanzitutto che essa contiene testimonianze databili in diverse epoche storiche: l’attuale portale d’ingresso lo possiamo far risalire al 1500,molto elegante e con classici profili architettonici. Alla sua sinistra all’altezza di c.a. un metro dal terreno una pietraforse proveniente da diversa locazione,ha inciso un’iscrizione in lettere greche ( ΣΙΟςΑζΑΤΤΑ ) che ancor oggi divide i ricercatori; per alcuni la frase si tradurrebbe in “SIOS AVAPA” letteralmente dovrebbe significare “ DIO NON SEPOLTO “ per altri molto più semplicemente il nome “ IOSAFATTE “. Entriamo una ripida scala con volta a botte ci fa scendere nella cripta. All’ingresso dell’ipogeo sopra una lunetta è rappresentata una Sacra Famiglia databile XVI secolo, la cripta ha una forma trapezoidale,l’ingresso originale,situato più in basso,si trova sulla destra rvolto ad occidente,tipico del culto italo-greco ,con l’abside e l’altare posti ad oriente dove sorge il Sole,la Luce e quindi Dio.
Notiamo anche due colonne circolari poste quasi a sorreggere la volta,se mai ce ne fosse bisogno,anch’esse databili in epoca cinquecentesca.
Le decorazioni sulle pareti sono davvero splendide e suscitano tuttora nel visitatore forti emozioni; notiamo tra l’altro un’Annunciazione sulla sinistra dell’ingresso,una Crocefissione,da cui la dedicazione della cripta ,sull’altare sinistro e l’immagine di San Nicola. Oltre un pilastro una bellissima immagine di Cristo Pantocrator (Benedicente) ed inoltre sulla parete di fronte all’ingresso due Vergini con Bambino purtroppo deteriorate.
Di grande interesse sono anche le decorazioni della volta:si notano figure di pesci e di gabbiani,piccoli rosoni e stemmi crociati,trifogli,felci e stelle ad otto punte,inoltre gigli dorati e figure a volte non ben definite di animali mostruosi come un cane con testa di scimmia forse un’idra ed un toro.
Tutti gli affreschi risalirebbero al due-trecento,gli stemmi crociati farebbero pensare alla presenza di Ordini Cavallereschi Templari,mentre i gigli sarebbero di epoca angioina.
Risaliamo ora per visitare,attraversata la via per Melissano,l’antica masseria Crocefisso che per alcuni studiosi sarebbe partez di un antico complesso monastico brasiliano. Allo stato attuale la masseria si compone di alcuni piccoli vani con annessa la chiesetta dedicata alla Madonna di Costantinopoli.
Anche questa chiesa è affrescata con pitture originali di epoca tardo bizantina più volte rimodernate con sottostanti immagini ancor più antiche.
Il luogo,come già detto,è stato recentemente restaurato ed è visitabile con un po’ di fortuna il mercoledì,il venerdì e la domenica dalle 10.00 alle 12.00 .

sabato 3 maggio 2008

MERIDIANI (di Mino Specolizzi)


L’idea di questo progetto nasce da un’esigenza di riqualificare il territorio culturalmente ed architettonicamente. Il nome “meridiani” è il rimando simbolico ad un concetto più vasto formato originariamente da due parole: “demoni meridiani” che vuole stare a significare la nostra passione per quell’aspetto magico-rituale di creature che “incantano il mare, appesantiscono i vascelli, paralizzano i remi… fanno cessare il vento” così anche i discorsi di questi può ammaliare, perché “essi non si impadroniscono di nessuno con la violenza, ma incantano coi loro argomenti” ed ambientale che la terra del salento come altri luoghi hanno per diverse ragioni. Questo progetto vuole essere attraverso la sua realizzazione una eco permanente di una soglia di attenzione alta realizzando interventi culturali i cui fini sono quelli di proporre un filo rosso attraverso i territori nel territorio. Quello che solitamente viene definito una ricerca poetica sul campo. L’uso del termine territorio in questo caso non vuole alludere solo ad una estensione/adesione tout court ad una precisa terra, ma un rivendicare differenze e assonanze con altri territori. Differenti artisti rappresentanti di specifici e simili percorsi nei propri territori. Consapevoli che le strade che bisogna percorrere saranno molte, anche se ognuna per una sua via. Dal neolitico sahariano e dai luoghi del pianeta più aridi in assoluto proviene senza ombra di dubbio un resoconto quanto mai esaustivo sui sistemi di pietre circa la captazione, condensatori di umidità e in generale dei dispositivi idrici fonti di acqua e di vita. L’esigenza è di realizzare un sistema di saperi arcaici e primitivi dentro cui confrontarsi, dove il principio ingegneristico e idraulico di 9/8000 anni fa, trasversalmente arriva fino ai nostri giorni, passo dopo passo coinvolgendo una vasta area del mediterraneo dove le risorse erano ricavate solo dalla conoscenza empirica e necessaria del luogo in cui si viveva e si era costretti ad agire. Complessi di pietre apparentemente accumulate per caso, per pulizia dei campi o di più vasti territori, hanno in realtà in germe le nozioni più distillate di ingegneria idraulica. Il vivere in luoghi aridi, la conoscenza dei flussi dei venti dagli antichi nabatei ed edomiti fino all’inizio del secolo scorso nel meridione d’Italia luoghi in cui non vi erano fiumi e pioveva raramente, ha fatto sì che si sperimentassero le forme di produzione di acqua. Vorremmo provare a realizzare in concreto un impianto di sistemi di captazione, condensazione e riutilizzo delle arie umide attraverso il posizionamento di pietre in determinati assi anziché altri, sì da fare in modo che gli accumuli di massi spugnosi assorbono la brina notturna e riforniscono di umidità il terreno, così come le radici di ulivi centenari sono tutte rivolte o verso il basso alla ricerca di terreno più umido oppure rivolte verso i muri, i tumuli e cumuli di roccia calcarea. Ricostruire uno scenario di valori ereditati dalla preistoria tramandati dai popoli su modi di abitare, risparmio delle risorse, sulla raccolta delle acque. Parliamo di un progetto che può rientrare nel suo piccolo a far parte di una discussione sulla desertificazione del pianeta terra. Un discorso, un luogo che tenta (solo come mezzo e punto di partenza che racchiude le vaste possibilità di riconsiderare la riqualificazione del territorio) di riunire il momento artistico attraverso installazioni di pietre al momento pratico di impianto di ulivi, vigna e macchia mediterranea, usufruendo dell’apporto idrico che le pietre hanno con il loro potere drenante. Un luogo in cui possono realizzarsi manifestazioni culturali sostenute da una “scenografia” che non sia mero materiale visivo di consumo ma percorso dentro il quale muovere saperi altrimenti sopiti, dare visibilità e fruibilità a ciò che è ancora occultato. Proveremo a tracciare alcune “linee guida” limitate a due grandi temi che oggi più che mai fanno da contraltare a questa terra: la tradizione e l’identità. Ripercorrere la nostra memoria coscienti di fare parte della schiera dei “tardo venuti”. Probabilmente in questo territorio si sente molto il peso della “tradizione”, anche se nell’intento originario del progetto vi sia insita una revisione di tale concetto quanto anche del concetto di “lettura”. I fatti parlano da soli, continuiamo a portarci dietro una identità, magari travestita oggi con la riscoperta, che trent’anni fa sembrava impossibile. A questo punto sarebbe interessante vedere come si possano porre operazioni recenti, e non soltanto recenti con una idea diversa di tradizione; se cioè tradizione è un concetto mascherato e difensivo di totalità o è altro. Dire che dobbiamo rinunciare ad un'idea della tradizione vuol dire rinunciare a qualche cosa che ci tutela e prendere in seria considerazione l'ipotesi di qualche cosa con cui ci dobbiamo misurare. Probabilmente l'impegno più gravoso è che dovremmo intraprendere un'analisi non soltanto in senso storico-filologico, della sensazione del venire tardi, non soltanto la sensazione di un tempo che è passato, ma proprio di noi che siamo venuti troppo tardi e che non abbiamo più nulla da dire. Pensiamo inoltre che sia giunto il momento di avviare una grande opera civile di restauro del paesaggio dell’area mediterranea. Altrimenti conseguenza diretta perdita dell’identità dei luoghi. Azioni architettoniche, storiche, ambientali antropiche e culturali rivolte a rafforzare l’identità dei luoghi, rovesciando l’ottica che i paesaggi mediterranei non fanno parte della modernità, al contrario pensare la modernità alla luce del sud. Il compito che ci vogliamo dare è quello se sia possibile intervenire su un aspetto essenziale di modificazione dei luoghi attraverso la ricerca di nuove forme, di nuove strategie di recupero e tutela dell’identità locale. Nel caso specifico che guarda ai ritmi e al contesto del territorio. Quello che secondo il nostro punto di vista occorre indagare è l’ipotesi di assumere l’identità dei luoghi come risorsa (bene economico), all’interno di un innovativo progetto di sviluppo culturale attento alle specificità e alle differenze. Detto ciò e sgomberato il campo da facili equivoci, bisogna guardare da dove cominciare. Nella nostra società assuefatta all'idea del progredire, l'inizio non è che un primo passo, si comincia dal poco, ci si prova prima di avventurarsi in mare aperto e poi, guardandosi indietro, si misura con qualche soddisfazione la strada percorsa, anche se probabilmente si è girato solo in cerchio. A qualcuno capita invece di dover buttare tutte le proprie energie in una impresa, come se fosse la prima e l'ultima, tanto forte è il magnetismo della cosa, e di ricevere poi da essa un segno distintivo permanente. Consapevole che il Salento prenderà la direzione di altre mete turistiche, in altre parole esorcizzare il reale pericolo di una terra in cui qualsiasi operazione possa divenire un progetto di “vendita industriale” che non ha nessun rapporto con la creatività culturale locale.