sabato 3 maggio 2008

MERIDIANI (di Mino Specolizzi)


L’idea di questo progetto nasce da un’esigenza di riqualificare il territorio culturalmente ed architettonicamente. Il nome “meridiani” è il rimando simbolico ad un concetto più vasto formato originariamente da due parole: “demoni meridiani” che vuole stare a significare la nostra passione per quell’aspetto magico-rituale di creature che “incantano il mare, appesantiscono i vascelli, paralizzano i remi… fanno cessare il vento” così anche i discorsi di questi può ammaliare, perché “essi non si impadroniscono di nessuno con la violenza, ma incantano coi loro argomenti” ed ambientale che la terra del salento come altri luoghi hanno per diverse ragioni. Questo progetto vuole essere attraverso la sua realizzazione una eco permanente di una soglia di attenzione alta realizzando interventi culturali i cui fini sono quelli di proporre un filo rosso attraverso i territori nel territorio. Quello che solitamente viene definito una ricerca poetica sul campo. L’uso del termine territorio in questo caso non vuole alludere solo ad una estensione/adesione tout court ad una precisa terra, ma un rivendicare differenze e assonanze con altri territori. Differenti artisti rappresentanti di specifici e simili percorsi nei propri territori. Consapevoli che le strade che bisogna percorrere saranno molte, anche se ognuna per una sua via. Dal neolitico sahariano e dai luoghi del pianeta più aridi in assoluto proviene senza ombra di dubbio un resoconto quanto mai esaustivo sui sistemi di pietre circa la captazione, condensatori di umidità e in generale dei dispositivi idrici fonti di acqua e di vita. L’esigenza è di realizzare un sistema di saperi arcaici e primitivi dentro cui confrontarsi, dove il principio ingegneristico e idraulico di 9/8000 anni fa, trasversalmente arriva fino ai nostri giorni, passo dopo passo coinvolgendo una vasta area del mediterraneo dove le risorse erano ricavate solo dalla conoscenza empirica e necessaria del luogo in cui si viveva e si era costretti ad agire. Complessi di pietre apparentemente accumulate per caso, per pulizia dei campi o di più vasti territori, hanno in realtà in germe le nozioni più distillate di ingegneria idraulica. Il vivere in luoghi aridi, la conoscenza dei flussi dei venti dagli antichi nabatei ed edomiti fino all’inizio del secolo scorso nel meridione d’Italia luoghi in cui non vi erano fiumi e pioveva raramente, ha fatto sì che si sperimentassero le forme di produzione di acqua. Vorremmo provare a realizzare in concreto un impianto di sistemi di captazione, condensazione e riutilizzo delle arie umide attraverso il posizionamento di pietre in determinati assi anziché altri, sì da fare in modo che gli accumuli di massi spugnosi assorbono la brina notturna e riforniscono di umidità il terreno, così come le radici di ulivi centenari sono tutte rivolte o verso il basso alla ricerca di terreno più umido oppure rivolte verso i muri, i tumuli e cumuli di roccia calcarea. Ricostruire uno scenario di valori ereditati dalla preistoria tramandati dai popoli su modi di abitare, risparmio delle risorse, sulla raccolta delle acque. Parliamo di un progetto che può rientrare nel suo piccolo a far parte di una discussione sulla desertificazione del pianeta terra. Un discorso, un luogo che tenta (solo come mezzo e punto di partenza che racchiude le vaste possibilità di riconsiderare la riqualificazione del territorio) di riunire il momento artistico attraverso installazioni di pietre al momento pratico di impianto di ulivi, vigna e macchia mediterranea, usufruendo dell’apporto idrico che le pietre hanno con il loro potere drenante. Un luogo in cui possono realizzarsi manifestazioni culturali sostenute da una “scenografia” che non sia mero materiale visivo di consumo ma percorso dentro il quale muovere saperi altrimenti sopiti, dare visibilità e fruibilità a ciò che è ancora occultato. Proveremo a tracciare alcune “linee guida” limitate a due grandi temi che oggi più che mai fanno da contraltare a questa terra: la tradizione e l’identità. Ripercorrere la nostra memoria coscienti di fare parte della schiera dei “tardo venuti”. Probabilmente in questo territorio si sente molto il peso della “tradizione”, anche se nell’intento originario del progetto vi sia insita una revisione di tale concetto quanto anche del concetto di “lettura”. I fatti parlano da soli, continuiamo a portarci dietro una identità, magari travestita oggi con la riscoperta, che trent’anni fa sembrava impossibile. A questo punto sarebbe interessante vedere come si possano porre operazioni recenti, e non soltanto recenti con una idea diversa di tradizione; se cioè tradizione è un concetto mascherato e difensivo di totalità o è altro. Dire che dobbiamo rinunciare ad un'idea della tradizione vuol dire rinunciare a qualche cosa che ci tutela e prendere in seria considerazione l'ipotesi di qualche cosa con cui ci dobbiamo misurare. Probabilmente l'impegno più gravoso è che dovremmo intraprendere un'analisi non soltanto in senso storico-filologico, della sensazione del venire tardi, non soltanto la sensazione di un tempo che è passato, ma proprio di noi che siamo venuti troppo tardi e che non abbiamo più nulla da dire. Pensiamo inoltre che sia giunto il momento di avviare una grande opera civile di restauro del paesaggio dell’area mediterranea. Altrimenti conseguenza diretta perdita dell’identità dei luoghi. Azioni architettoniche, storiche, ambientali antropiche e culturali rivolte a rafforzare l’identità dei luoghi, rovesciando l’ottica che i paesaggi mediterranei non fanno parte della modernità, al contrario pensare la modernità alla luce del sud. Il compito che ci vogliamo dare è quello se sia possibile intervenire su un aspetto essenziale di modificazione dei luoghi attraverso la ricerca di nuove forme, di nuove strategie di recupero e tutela dell’identità locale. Nel caso specifico che guarda ai ritmi e al contesto del territorio. Quello che secondo il nostro punto di vista occorre indagare è l’ipotesi di assumere l’identità dei luoghi come risorsa (bene economico), all’interno di un innovativo progetto di sviluppo culturale attento alle specificità e alle differenze. Detto ciò e sgomberato il campo da facili equivoci, bisogna guardare da dove cominciare. Nella nostra società assuefatta all'idea del progredire, l'inizio non è che un primo passo, si comincia dal poco, ci si prova prima di avventurarsi in mare aperto e poi, guardandosi indietro, si misura con qualche soddisfazione la strada percorsa, anche se probabilmente si è girato solo in cerchio. A qualcuno capita invece di dover buttare tutte le proprie energie in una impresa, come se fosse la prima e l'ultima, tanto forte è il magnetismo della cosa, e di ricevere poi da essa un segno distintivo permanente. Consapevole che il Salento prenderà la direzione di altre mete turistiche, in altre parole esorcizzare il reale pericolo di una terra in cui qualsiasi operazione possa divenire un progetto di “vendita industriale” che non ha nessun rapporto con la creatività culturale locale.

2 commenti:

Rocco Zecca ha detto...

Ho avuto modo di assaporare gli entusiasmi che vibrano intorno a questa importante esperienza salentina e non ho potuto che esserne coinvolto: cultura, cultura popolare,architettura, bioarchitettura, ingegneria, ingegneria idraulica, natura, ambiente, storia ma soprattutto POESIA, sono tra gli ingredienti di questa corposa ricetta che si chiama "L'orto dei Tu'rat"..
un saluto a tutti voi ..
Rocco Zecca

Unknown ha detto...

Sono contento che il posto sia stato realizzato & non vedo l'ora che si eventi di tipo anche artistico abbiano inizio.Complimenti a Cosimo Specolizzi per averci messo il cuore.
Marco